martes, 29 de septiembre de 2009

Chiquita tras el golpe


Retomando el llamamiento del Frente Nacional contra el Golpe de Estado en Honduras, en el sentido de rechazar y boicotear a las empresas que sabemos que han financiado el golpe de estado, les pedimos todo su apoyo para llevar a cabo un BOICOT MUNDIAL INDEFINIDO contra la compañía bananera CHIQUITA que, tras bambalinas, está apoyando a los golpistas. 

¿Cómo adherirse a la iniciativa: 
1) No comprar productos Chiquita;
2) Difundir el boicot entre sus amigos, familiares y conocidos;
3) Imprimir en calcomanías, camisetas, posters, flyer el logo del boicot en su respectivo idioma; 
4) Publicar el link de este blog en los espacios web pertinentes;
5) Entrar a la página de la matriz de Chiquita en Cincinnati, OH (USA) 
http://www.chiquitabrands.com/CompanyInfo/ContactUs.aspx

y mandarle el siguiente mensaje: 
I DON’T BUY CHIQUITA BECAUSE IT SUPPORTS COUP DE ETAT IN HONDURAS




    lunes, 28 de septiembre de 2009

    Chiquita risponde (italiano)

    Anversa, 23 settembre 2009

    Alla c.a. del Comité Internacional por el Boicot a Chiquita

    Gentili signori,

    Vi scrivo in risposta all'articolo pubblicato su www.boicottchiquita.blogspot.com che riporta le voci - totalmente prive di fondamento - circa un ruolo di Chiquita nei recenti sconvolgimenti politici in Honduras. Voglio essere chiaro e diretto: Chiquita non ha avuto alcun ruolo in questi eventi.

    Il rispetto per le leggi locali, per le istituzioni e per le comunità costituisce il fondamento della nostra politica di responsabilità sociale. È una parte essenziale del nostro impegno nell’applicazione dei più alti standard legali, etici, ambientali e sociali. Le posso assicurare che intendiamo tenere fede pienamente e consistentemente a questo impegno, e che abbiamo seguito questa linea di principio anche in occasione dei recenti conflitti politici in Honduras.

    Nel corso degli ultimi due mesi, siamo stati a stretto contatto con i nostri dipendenti in Honduras, con i vertici del sindacato locale SITRATERCO e con IUF presso i quali abbiamo chiarito la nostra politica di non intervento nelle locali dispute politiche.

    Chiquita è stata la prima multinazionale - tuttora, l'unica americana – ad aver siglato nel 2001 un accordo quadro con IUF (International Union of Foodworkers) e con COLSIBA (Coordinadora de Sindicatos Bananeros), che garantisce a tutti i dipendenti nelle piantagioni di banane il rispetto delle Convenzioni Internazionali dell' ILO. Dal 2004, inoltre, tutte le divisioni agricole di proprietà in America Latina sono certificate Sa8000, lo standard volontario di riferimento in materia di lavoro che si basa sulle convenzioni dell’ILO (International Labor Organization), la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo.

    Non esitate a contattarci per qualsiasi ulteriore chiarimento.

    Cordiali saluti

    George Jaksch
    Senior Director Corporate Responsibility and Public Affairs
    Chiquita Brands International

    domingo, 27 de septiembre de 2009

    Chiquita contesta (español)

    Anversa, a 23 de septiembre de 2009

    A la atención del Comité Internacional por el Boicot a Chiquita

    Estimados señores:

    Les escribo en respuesta al artículo publicado en www.boicotchiquita.blogspot.com que cita rumores – totalmente sin fundamentos – acerca del papel de Chiquita en los recientes desórdenes políticos en Honduras. Quiero ser claro y directo: Chiquita no ha tenido ningún papel en estos acontecimientos.

    El respeto por las leyes locales, por las instituciones y por las comunidades constituye el fundamento de nuestra política de responsabilidad social. Es una parte esencial de nuestro compromiso en la aplicación de los más altos estándares legales, éticos, ambientales y sociales. Les puedo asegurar que pretendemos tener fe plena y consistentemente a este compromiso, y que hemos seguido esta línea de principio también en ocasión de los recientes conflictos políticos en Honduras.

    Durante los últimos dos meses hemos estado en estrecho contacto con nuestros empleados en Honduras, con los vértices del sindicato local SITRATERCO y con IUF, con los cuales hemos aclarado nuestra política de no intervención en las locales disputas políticas.

    Chiquita ha sido la primera multinacional – hasta ahora la única estadounidense – que suscribió en 2001 un acuerdo cuadro con IUF (International Union of Foodworkers) e con COLSIBA (Coordinadora de Sindicatos Bananeros), que garantiza a todos los trabajadores en las plantaciones de plátano el respeto de las Convenciones Internacionales del ILO. Asimismo, desde 2004, todas las divisiones agrícolas de propriedad en América Latina han sido certificada según Sa8000, el estándar voluntario de referencia en materia laboral, que se basa en las convenciones de la ILO (International Labor Organization), la Declaración Universal de los Derechos Humanos y la Declaración de las Naciones Unidas sobre Derechos de los Niños.

    No duden en contactarnos para cualquier otra aclaración.

    Atentamente,

    George Jaksch
    Senior Director Corporate Responsibility and Public Affairs
    Chiquita Brands International

    sábado, 26 de septiembre de 2009

    CIBCH ribatte (italiano)

    Signor George Jaksch,

    nella Sua lettera Lei cataloga come “voci totalmente prive di fondamento” le pubbliche e ripetute denunce effettuate dalle organizzazioni anti-golpiste dell’Honduras. Così come Luciana Luciani della Chiquita-Italia le aveva apostrofate come “ridicole”.

    Le parole leggere volano mentre i fatti –purtroppo- restano. E indicano in modo convergente e inequivocabile che la Chiquita, fedele alla sua opaca tradizione storica, ha sempre le mani in pasta nella vita interna dell’Honduras.

    L’aumento del salario minimo del 60%, decretato dallo spodestato Presidente Zelaya, ha messo alla luce l’ostilità belligerante della Chiquita, che ha fatto quadrato con l’organizzazione padronale dell’Honduras (COEHP). La destabilizzazione del sistema democratico è stata aperta e militante, fino ad ottenere la deportazione del Presidente scelto dagli elettori.

    Quando il Presidente Zelaya è stato sequestrato e deportato, quello stesso 29 giugno la COHEP ha emesso un comunicato apologetico sull’operato dei golpisti, dove preventivamente e cinicamente responsabilizzava la vittima per le azioni liberticide dei carnefici della democrazia honduregna.

    La NIKE ed altre grandi multinazionali operanti nel Paese centroamericano hanno firmato un comunicato indirizzato al Dipartimento di Stato americano, in cui manifestavano la loro preoccupazione per l’interruzione violenta dell’ordine costituzionale, e prendevano le distanze dai golpisti. La Chiquita non figura tra i firmatari di quel documento, perché?

    Ancor oggi, quando con la sospensione delle garanzie costituzionali e la restrizione drastica dei diritti individuali e sociali, l’Honduras risulta un vero e proprio Stato-delinquente, la Chiquita persevera sulla medesima rotta.

    La compagnia che Lei rappresenta ha cambiato numerose volte i suoi connotati anagrafici nel tentativo di lasciarsi alle spalle un tenebroso passato. Non vogliamo infierire ricordando un rosario doloroso che attrasse l’attenzione di poeti e scrittori, tra i quali Pablo Neruda, Juan Gelman e Gabriel García Márquez.

    Signor George Jacksh, approfittiamo della Sua disponibilità e Le chiediamo se è vero che un tribunale degli Stati Uniti ha condannato la Chiquita per aver finanziato l’organizzazione clandestina di estrema destra denominata “Autodefensas Unidas de Colombia” (AUC). Non a metà secolo scorso, ma quando si era già ribattezzata Chiquita.

    La responsabilità sociale delle imprese e l’etica nella conduzione degli affari per definizione devono andare oltre il rispetto delle leggi nazionali e degli accordi internazionali che rappresentano semplicemente uno standard minimo operativo di partenza e non un obiettivo raggiunto da propagandare. Sul vostro sito istituzionale si dice addirittura che Chiquita “da oltre cento anni si impegna a migliorare le comunità in cui fa affari”, fatto che ci sembra quantomeno discutibile. A quali comunità si fa riferimento? A quali gruppi e interessi esattamente?

    Proprio in Honduras negli ultimi anni sono continuate le denunce dei sindacati (SITRATERCO e COLSIBA) e delle ONG (BananaLink) per le violazioni di Chiquita ai diritti umani e lavorativi dei propri dipendenti come nel caso di Emelina Vásquez, molestata sessualmente da un superiore e in seguito licenziata.

    Altri sindacati di settore dell’Honduras, come COSIBAH, informano che i loro membri che hanno contestato l’uso del pesticida basato sul chlorphirifos sono stati oggetto di mobbing e la compagnia ha cercato di estrometterli dalle piantagioni.

    L’etica d’impresa significa a volte prendere posizione su temi riguardanti la sicurezza dei cittadini, dei lavoratori, della democrazia, dell’intorno sociale e politico e non solo del patrimonio aziendale e degli utili: la posizione di Chiquita riguardo al colpo di Stato del 28 giugno ci sembra chiara.

    Lei dice che avete sottoscritto tutti i convegni nazionali ed internazionali che codificano la buona condotta e la moralità imprenditoriale.

    Non deve convincere noi, bensì le forze sociali e i loro dirigenti che –solo qualche settimana fa – ribadivano che dietro il patibolare Micheletti e il club dei generali c’erano gli esponenti dell'imprenditoria nazionale e internazionale:

    “Miguel Facussé, Antonio Tavel Otero, Adolfo Facussé, Carlos Flores Facussé, Jorge Canahuaty Larach, Camilo Atala, Jorge Faraj, Rafael Ferrarí, Chucry Kafie, familia Kafati, United Brand (Chiquita Banana)”.

    È dall’interno dell’Honduras che mettono sotto accusa la multinazionale che Lei rappresenta e difende. Sono i prossimi dirigenti della risorgente nazione centroamericana che dovreste cercare di convincere. Non noi, che li accompagniamo nella difesa dell’equità e una maggiore armonia sociale.

    In America Latina soffia un vento di rinnovamento che sta spazzando i retaggi del trapassato storico. Sarebbe saggio adattarsi a questa nuova realtà ed evitare che il vento possa mutarsi in burrasca.

    Comité Internacional por el Boicot a Chiquita

    viernes, 25 de septiembre de 2009

    CIBCH responde (español)

    Señor George Jaksch,

    en su carta usted define como “rumores totalmente sin fundamento” las públicas y repetidas denuncias emprendidas por las organizaciones antigolpistas de Honduras. Así como Luciana Luciani de Chiquita-Italia las había caracterizado como “ridículas”.

    Las palabras ligeras vuelan mientras que los hechos –desgraciadamente- se quedan. E indican de manera convergente e inequívoca que Chiquita, fiel a su opaca tradición histórica, siempre tiene las manos en la masa en la vida interna de Honduras.

    El aumento del salario mínimo del 60%, decretado por el depuesto Presidente Zelaya, sacó a la luz la hostilidad beligerante de Chiquita, que cerró filas junto con la organización patronal de Honduras (COEHP). La desestabilización del sistema democrático ha sido abierta y militante, hasta obtener la deportación del Presidente escogido por los electores.

    Cuando el Presidente Zelaya fue secuestrado y deportado, ese mismo 29 de junio la COHEP emitió un comunicado apologético sobre las acciones de los golpistas, donde preventiva y cínicamente responsabilizaba a la víctima por las acciones liberticidas de los carnífices de la democracia hondureña.

    NIKE y otras grandes multinacionales que operan en el País centroamericano firmaron un comunicado, dirigido al Departamento de Estado estadounidense, en el cual manifestaban su preocupación por la interrupción violenta del orden constitucional, y tomaban distancia de los golpistas. Chiquita no figura entre los firmatarios de ese documento, ¿por qué?

    Hasta la fecha, cuando con la suspensión de las garantías constitucionales y la restricción drástica de los derechos individuales y sociales, Honduras resulta ser un verdadero Estado-delincuente, Chiquita persevera en el mismo camino.
    La compañía que usted representa ha cambiado en diversas ocasiones sus rasgos personales en el intento de dejar atrás un tenebroso pasado. No queremos ensañarnos recordándoles un rosario doloroso que llamó la atención de poetas y escritores, tales como Pablo Neruda, Juan Gelman y Gabriel García Márquez.

    Señor George Jacksh, aprovechamos su disponibilidad y le preguntamos si es cierto que un tribunal de Estados Unidos condenó a Chiquita por haber financiado la organización clandestina de extrema derecha denominada “Autodefensas Unidas de Colombia” (AUC). No a mediados del siglo pasado, sino después de rebautizarse como Chiquita.

    La responsabilidad social de las empresas y la ética en el manejo de los negocios por definición deben ir más allá del respeto de las leyes nacionales y de los acuerdos internacionales, que representan simplemente un estándar mínimo operativo de partida y no un objetivo alcanzado que pregonar. En su sitio institucional hasta se dice que Chiquita “desde hace más de cien años se compromete en mejorar las comunidades en las que hace negocios”, hecho que nos parece por lo menos discutible. ¿A cuáles comunidades se refiere? ¿A cuáles grupos e intereses exactamente?

    Justo en Honduras en los últimos años se sucedieron las denuncias de los sindicatos (SITRATERCO y COLSIBA) y de las ONG’s (BananaLink) por las violaciones de Chiquita a los derechos humanos y laborales de sus empleados, como en el caso de Emelina Vásquez, acosada sexualmente por un superior y sucesivamente despedida.

    Otros sindicatos de sector de Honduras, como COSIBAH, informan que sus afiliados que contestaron el uso del pesticida basado en chlorphirifos han sido objeto de mobbing y la compañía intentó expulsarlos de los plantíos.

    La ética empresarial significa a veces tomar posición en temas que conciernen la seguridad de los ciudadanos, de los trabajadores, de la democracia, del entorno social y político y no sólo del patrimonio empresarial y de las utilidades: la posición de Chiquita ante el golpe de Estado del 28 de junio nos parece clara.
    Usted dice que suscribieron todas las convenciones nacionales e internacionales que codifican la buena conducta y la moralidad empresarial.

    No debe convencernos a nosotros, sino a las fuerzas sociales y a sus dirigentes que –sólo hasta hace algunas semanas- repetían que tras el patibulario Micheletti y el club los generales estaban los exponentes del empresariado nacional e internacional:

    “Miguel Facussé, Antonio Tavel Otero, Adolfo Facussé, Carlos Flores Facussé, Jorge Canahuaty Larach, Camilo Atala, Jorge Faraj, Rafael Ferrarí, Chucry Kafie, familia Kafati, United Brand (Chiquita Banana)”.

    Es desde el interior de Honduras donde ponen bajo acusación a la multinacional que usted representa y defiende. Son los próximos dirigentes de la renaciente nación centroamericana a quienes deberían intentar convencer. No a nosotros, que los acompañamos en la defensa de la equidad y una mayor armonía social.

    En América Latina sopla un viento de renovación que está barriendo los legados del pretérito histórico. Sería sabio adaptarse a esta nueva realidad y evitar que el viento pueda convertirse en tempestad.

    Comité Internacional por el Boicot a Chiquita

    miércoles, 23 de septiembre de 2009

    El gorila recula asustado


    La espuria viceministra de relaciones exteriores del gobierno gorila ha salido al paso a la información de que el ejército hondureño asaltaría la embajada brasileña en Tegucigalpa negando el hecho.

    No es una repuesta diplomática del régimen de facto, sino el temor de que Brasil convocara al Consejo de Seguridad de las Naciones Unidas para tratar el tema en EL que se podría llegar a la conclusión de intervenir militarmente a Honduras. No hay duda que la ultraderecha norteamericana mantiene muy informados a los gorilas hondureños sobre los posibles actos de la administración de Estados Unidos sobre el conflicto. Minutos antes de la noticia en los medios internacionales los cuerpos represivos hondureños reaccionaron apurados.

    Lo que queda claro es que hay división entre sus filas. Hay empresarios, los menos comprometidos con el golpe de estado, que buscan una salida diplomática al conflicto pero el grupo duro, el que tiene la mayor responsabilidad sobre la violación al orden constitucional y a los derechos humanos, se está agarrando con la uñas del poder militar para llegar a noviembre con la esperanza de que tal hecho, que ellos califican de democrático, los salve de las condenas de los tribunales penales internacionales. Ellos saben que es cuestión de tiempo y éste se agota para ellos.. Saben que tarde o temprano estarán en el banquillo de los acusados por delitos que no prescriben.

    Los nombres son los mismos: Miguel Facussé, Antonio Tavel Otero, Adolfo Facussé, Carlos Flores Facussé, Jorge Canahuaty Larach, Camilo Atala, Jorge Faraj, Rafael Ferrarí, Chucry Kafie, familia Kafati, United Brand (Chiquita Banana). Los políticos convertidos en empresarios como Rafael Leonardo Callejas, Pepe Lobo, Roberto Micheletti, y los que apoyan desde lo ideológico en donde destacan Oscar Andrés Rodríguez, Evelio Reyes y la pandilla de lenguas asalariadas.

    Frente Nacional contra el Golpe de Estado en Honduras
    http://aporrea.org/tiburon/a87056.html

    martes, 25 de agosto de 2009

    Il golpe delle banane

    La multinazionale Chiquita accusata di aver orchestrato il colpo di stato in Honduras. Ma questa smentisce
    "E' semplicemente ridicolo". È con queste parole che Chiquita, una volta United Fruit e United Brands, la multinazionale leader nel mercato delle banane, smonta l'accusa rivoltale da alcuni critici e osservatori internazionali che la vedono tra i mandanti del golpe del 28 giugno in Honduras.
    Boicottaggio ChiquitaLuciana Luciani, portavoce di Chiquita Italia, contattata da PeaceReporter, non ha avuto esitazioni: "Mentre attendo il comunicato ufficiale non esito a ripetere le parole già espresse sull'argomento dal capo supremo della mia azienda: è una tesi ridicola, semplicemente ridicola". Eppure, sta coinvolgendo molto l'opinione pubblica internazionale e portando a una massiccia campagna di boicottaggio: "Honduras. Contro i golpisti e soci, non comprare Chiquita".
    Fra i primi a sostenere il connubio tra la multinazionale dal passato alquanto complesso, ma che negli ultimi anni ha dichiarato di aver sposato la filosofia della trasparenza e dei diritti per evitare ritorsioni assai costose in cause legali e risarcimenti, è Nikolas Kozloff, l'autore di "Revolution! South America and the Rise of the New Left". Su Counter Punch, news letter polica molto diffusa negli Stati Uniti, ha pubblicato un intervento, poi ripreso da altri siti e tradotto in varie lingue, in cui snocciola l'intera tesi, ripercorrendo le gesta storiche e non proprio eroiche del brand della frutta più famoso al mondo. "De Arbenz a Zelaya: Chiquita (United Fruit) in Americalatina".
    manifestanti contro il golpe"Quando i militari honduregni hanno fatto cadere il governo democraticamente eletto di Manuel Zelaya - spiega Kozloff - nelle sale del consiglio corporativo della Banana Chiquita possono aver tirato un sospiro di sollievo. All'inizio di quest'anno, la compagnia della frutta con base a Cincinnati, Usa, si unì a Dole nella criticare il governo di Tegucigalpa che aveva aumentato il salario minimo del 60 percento. Chiquita si lamentò che le nuove regole colpivano i benefici della compagnia. Era inquieta perché avrebbe perso milioni di dollari con le riforme del lavoro di Zelaya, dato che la compagnia in Honduras produceva circa otto milioni di casse di ananas e 22 milioni di casse di platano all'anno".
    "Fu così che - continua lo scrittore - quando apparve il decreto del salario minimo, Chiquita cercò aiuto dal Consiglio honduregno dell'impresa privata Cohep (che nel governo golpista ha inserito un suo uomo chiave, Benjamín Bográn, a capo del dicastero dell'Industria e Commercio ndr.). Anche Cohep, infatti, era scontenta della misura decisa da Mel sul salario minimo. Amílcar Bulnes, presidente del gruppo, spiegò che se il governo fosse andato avanti con l'aumento del salario minimo, gli imprenditori si sarebbero visti obbligati a licenziare i lavoratori, aumentando così la disoccupazione nel paese. Quale principale organizzazione imprenditoriale in Honduras, Cohep raggruppa sessanta imprese e camere di commercio che rappresentano tutti i settori dell'economica honduregna".
    A golpe avvenuto, Cohep non esitò a chiedere alla comunità internazionale di non imporre sanzioni economiche contro il regime golpista, perché non avrebbero che peggiorato i problemi sociali del paese. Anzi, non tardò a ergersi difensore dei poveri honduregni, ricordando come avessero già sofferto troppo per terremoti, alluvioni e crisi finanziaria globale. Perché accanirsi dunque? Prima di punire il regime golpista, secondo Cohpe, Onu e Osa avrebbero dovuto inviare equipe di osservatori per toccare con mano come tale sanzioni avrebbero colpito circa il 70 percento dei cittadini che vivono sotto la soglia di povertà. "Tutto questo - spiega Kozloff - mentre Bulnes appoggiava senza riserve Roberto Micheletti, precisando che in Honduras non c'erano le condizioni per il rientro di Zelaya".
    Dopo aver ripercorso quella che definisce "la lunga e sordida storia politica di Chiquita in Centroamerica", iniziata agli inizi del Novecento, fatta, secondo questa ricostruzione, di connivenze e loschi intrecci con le parti più illiberali e conservatrici di paesi quali Guatemala, Honduras e Nicaragua, per poi raggiungere il clou dei fattacci in Colombia, l'articolo, quindi, afferma "alla luce di queste storie poco limpide di Chiquita, non sorprende che la compagnia abbia cercato di allearsi con Cohep nel caso del golpe ancora in atto nel paese centromaricano".
    http://it.peacereporter.net/articolo/17558/Honduras%2C+il+golpe+delle+banane

    lunes, 24 de agosto de 2009

    La reacción de Chiquita a la campaña


    “Es simplemente ridículo”. Es con estas palabras que Chiquita, antes United Fruit y United Brands, multinacional del mercado de las bananas, responde a la acusación que le han dirigido diversos observadores internacionales que la ven entre los mandantes del golpe del 28 de junio en Honduras.
    Luciana Luciani, portavoz de Chiquita Italia, al ser contactada por PeaceReporter, contesta con tono duro a la Campaña Mundial “Boicot a Chiquita”. Sin titubeos afirma, “Mientras espero el comunicado oficial, no dudo en repetir las palabras ya expresadas sobre el tema por el jefe supremo de mi empresa: es una tesis ridícula, simplemente ridícula”.
    Ojalá así fuera. Lamentablemente es trágico, es cualquier otra cosa, pero para nada ridículo. El “jefe supremo” no puede desmentir la crónica, ni los antecedentes penales históricos y recientes de la multinacional bananera, tanto en Honduras como en otros Países sudamericanos.
    La Coordinación Latinoamericana de los Sindicatos Bananeros (Colsiba) ha denunciado las infernales condiciones laborales que imperan en las instalaciones de Chiquita: jornada laboral de 12 horas, mujeres, hombres y niños trabajadores expuestos a los efectos sumamente nocivos del DBCP. Se trata de un “antiparasitario” cancerígeno prohibido que causa esterilidad y deformación en fetos. Éste es el Honduras que los golpistas y los agroexportadores quieren conservar a toda costa.
    Chiquita se opuso radicalmente al aumento del salario mínimo decretado por el destituido Presidente Zelaya y fue la punta de lanza de la insubordinación abierta y manifiesta de la asociación de empresarios de Honduras (Coehp), de la que representa la parte más influyente.
    El “jefe supremo” no puede tampoco desmentir una condena de la justicia de Estados Unidos que puso Chiquita bajo acusación por haber financiado los tristemente célebres paramilitares colombianos, con un gasto de 1.7 millones de dólares.
    Un juez impuso una multa de 25 millones de dólares y reconoció las justas razones de los familiares de las decenas de campesinos asesinados por paramilitares encargados de “mantener el orden” en el latifundio bananero. El juez estableció que se trataba de terroristas.
    Era finales de los noventa. No 1920, cuando Sam “The banana man” Zemurray podía decir impunemente “En Honduras una mula cuesta más cara que un diputado”.
    Los tiempos están cambiando, los ciudadanos de Honduras tienen el derecho de ser gobernados por los que ellos eligen en las urnas.
    Por eso, la sociedad civil internacional actuará contra el golpe militar-empresarial y golpeará con las armas de la razón y de la no violencia a todos los sostenedores políticos y económicos de los golpistas.
    CIBCH

    domingo, 23 de agosto de 2009

    De Arbenz a Zelaya: Chiquita (United Fruit) en Latinoamérica

    Nikolas Kozloff
    de www.rebelion.org

    Cuando los militares hondureños derrocaron el gobierno democráticamente elegido de Manuel Zelaya hace dos semanas, puede haber habido un suspiro de alivio en las salas del consejo corporativo de Chiquita banana. A principios de este año la compañía frutera basada en Cincinnati, EE.UU. se unió a Dole en su crítica al gobierno en Tegucigalpa que había aumentado el salario mínimo en un 60%. Chiquita se quejó de que las nuevas reglas afectarían los beneficios de la compañía, y exigirían que la firma tuviera costes más elevados que en Costa Rica: 20 centavos de dólar más para producir una caja de ananás y diez centavos más para producir una caja de plátanos, para ser exacto. En total, Chiquita se inquietaba porque perdería millones con las reformas laborales de Zelaya ya que la compañía producía unas 8 millones de cajas de ananás y 22 millones de cajas de plátanos por año.
    Cuando apareció el decreto del salario mínimo, Chiquita buscó ayuda y apeló al Consejo Hondureño de Empresa Privada (COHEP). Como Chiquita, COHEP estaba descontento con la medida de Zelaya sobre el salario mínimo. Amílcar Bulnes, presidente del grupo, argumentó que si el gobierno seguía adelante con el aumento del salario mínimo, los empleadores se verían obligados a despedir trabajadores, aumentando así el desempleo en el país. Como principal organización empresarial en Honduras, COHEP agrupa a 60 asociaciones empresariales y cámaras de comercio que representan todos los sectores de la economía hondureña. Según su propio sitio en Internet, COHEP es el brazo político y técnico del sector privado hondureño, apoya los acuerdos de comercio y suministra “apoyo crítico para el sistema democrático.”
    COHEP argumenta que la comunidad internacional no debiera imponer sanciones económicas contra el régimen golpista en Tegucigalpa, porque empeorarían los problemas sociales de Honduras. En su nuevo papel como vocero de los pobres de Honduras, COHEP declara que Honduras ya ha sufrido terremotos, lluvias torrenciales y la crisis financiera global. Antes de castigar al régimen con medidas punitivas, arguye COHEP, Naciones Unidas y la Organización de Estados Americanos deberían enviar equipos de observadores a Honduras para evaluar cómo las sanciones afectarían a un 70% de los hondureños que viven en la pobreza. Mientras tanto, Bulnes ha expresado su apoyo al régimen golpista de Roberto Micheletti y argumenta que las condiciones políticas en Honduras no son propicias para un retorno del exilio de Zelaya.
    Chiquita: De Arbenz a Bananagate
    No sorprende que Chiquita busque y se alíe con fuerzas social y políticamente retrógradas en Honduras. COLSIBA, el organismo coordinador de los trabajadores de plantaciones de plátanos en Latinoamérica, dice que la compañía frutera no ha suministrado a sus trabajadores los equipos de seguridad necesarios y que ha retardado la firma de acuerdos laborales colectivos en Nicaragua, Guatemala y Honduras.
    La Coordinadora Latinoamericana de Sindicatos Bananeros, COLSIBA compara las condiciones laborales infernales en las plantaciones de Chiquita con campos de concentración. Es una comparación inflamatoria, pero puede contener un cierto grado de verdad. Mujeres que trabajan en las plantaciones de Chiquita en Centroamérica trabajan de las 6.30 de la mañana hasta las 7 de la tarde, con manos que arden dentro de guantes de goma. Algunos trabajadores tienen sólo 14 años. Los trabajadores bananeros centroamericanos han denunciado que Chiquita los expone en el terreno a DBCP, peligroso pesticida que causa esterilidad, cáncer y defectos congénitos en los niños.
    Chiquita, conocida antes como United Fruit Company y United Brands, ha tenido una larga y sórdida historia política en Centroamérica. Dirigida por Sam “The Banana Man” Zemurray, United Fruit entró al negocio de los plátanos a comienzos del Siglo XX. Zemurray observó una vez: “En Honduras, una mula cuesta más que un miembro del parlamento.” En los años veinte United Fruit controlaba 263.000 hectáreas de la mejor tierra en Honduras, cerca de un cuarto de la tierra cultivable del país. Lo que es más, la compañía controlaba carreteras y ferrocarriles.
    En Honduras, las compañías fruteras extendieron su influencia a todas las áreas de la vida, incluidas la política y las fuerzas armadas. Por esas tácticas adquirieron el nombre de ‘los pulpos.’ Los que no aceptaban el juego de las corporaciones eran hallados a menudo boca abajo en las plantaciones. En 1904, el humorista O. Henry acuñó el término “República bananera” para referirse a la tristemente célebre United Fruit Company y sus actividades en Honduras.
    En Guatemala, United Fruit apoyó el golpe militar patrocinado por la CIA en 1954, contra el presidente Jacobo Arbenz, un reformador que trató de realizar una reforma agraria. El derrocamiento de Arbenz llevó a más de treinta años de intranquilidad y de guerra civil en Guatemala. Posteriormente, en 1961, United Fruit prestó sus barcos a exiliados cubanos respaldados por la CIA que trataron de derrocar a Fidel Castro en Playa Girón.
    En 1972, United Fruit (rebautizada como United Brands) llevó al poder al general hondureño Oswaldo López Arellano. Sin embargo, el dictador tuvo que renunciar posteriormente después del infame escándalo “Bananagate” que tuvo que ver con sobornos de United Brands para López Arellano. Un jurado de acusación estadounidense acusó a United Brands de sobornar a Arellano con 1,25 millones de dólares, con la promesa de otros 1,25 millones si el militar aceptaba la reducción de los impuestos a la exportación de frutas. Durante el Bananagate, el presidente de United Brands cayó de un rascacielos de Nueva York, en un aparente suicidio.
    Los años Go-Go de Clinton Years y Colombia
    United Fruit también se estableció en Colombia y, durante sus operaciones en el país sudamericano, desarrollo una imagen no menos accidentada. En 1928, 3.000 trabajadores se declararon en huelga contra la compañía para pedir mejores condiciones de paga y trabajo. La compañía primero se negó a negociar, pero después cedió en algunos puntos menores, y declaró que las otras demandas eran “ilegales” o “imposibles.” Cuando los huelguistas se negaron a dispersarse, los militares dispararon contra los trabajadores, matando a muchos de ellos.
    Podría pensarse que Chiquita habría reconsiderado sus políticas laborales después de lo sucedido pero a fines de los años noventa, la compañía comenzó a aliarse con fuerzas insidiosas, específicamente con paramilitares derechistas. Chiquita les pagó hasta más de un millón de dólares. En su propia defensa, la compañía declaró que simplemente estaba pagando a los paramilitares para obtener protección.
    En 2007, Chiquita pagó 25 millones de dólares para dirimir una investigación del Departamento de Justicia sobre esos pagos. Chiquita fue la primera compañía en la historia de EE.UU. condenada por tratos financieros con una organización terrorista específica.
    En un juicio contra Chiquita, víctimas de la violencia paramilitar afirmaron que la firma instigaba a cometer atrocidades, incluyendo terrorismo, crímenes de guerra y crímenes contra la humanidad. Un abogado de los demandantes dijo que la relación de Chiquita con los paramilitares “tenía que ver con la adquisición de todos los aspectos de la distribución y venta de plátanos mediante un reino del terror.”
    De vuelta en Washington, Charles Lindner, director ejecutivo de Chiquita, estaba ocupado cortejando a la Casa Blanca. Lindner había sido un gran donante del Partido Republicano, pero cambio de lado y comenzó a prodigar dinero a los demócratas y a Bill Clinton. Clinton recompensó a Lindner convirtiéndose en un crucial respaldo militar del gobierno de Andrés Pastrana, responsable de la proliferación de escuadrones de la muerte derechistas. En esos días EE.UU. impulsaba su agenda de libre comercio amistosa hacia las corporaciones en Latinoamérica, una estrategia realizada por el antiguo amigo de infancia de Clinton, Thomas “Mack” McLarty. En la Casa Blanca, McLarty actuó como Jefe de Gabinete y Enviado Especial para América Latina. Es un personaje fascinante a quien volveré en un instante.
    La conexión Holder-Chiquita
    En vista del historial poco limpio de Chiquita en Centroamérica y Colombia, no sorprende que la compañía haya tratado de aliarse posteriormente con COHEP en Honduras. Aparte de cabildear a asociaciones empresariales en Colombia, Chiquita también cultivó relaciones con firmas legales importantes en Washington. Según el Center for Responsive Politics, Chiquita ha pagado 70.000 dólares en gastos de cabildeo a Covington and Burling en los últimos tres años.
    Covington es una poderosa firma legal que asesora a corporaciones multinacionales. Eric Holder, actual Fiscal General [Ministro de justicia], co-presidente de la campaña de Obama y ex Fiscal General Adjunto bajo Bill Clinton fue hasta hace poco socio de la firma. En Covington, Holder defendió a Chiquita como abogado principal en su caso con el Departamento de Justicia. Desde lo alto de su elegante nueva oficina en Covington, ubicada cerca del edificio del New York Times en Manhattan, Holder preparó a Fernando Aguirre, director ejecutivo de Chiquita, para una entrevista con “60 Minutes” sobre los escuadrones de la muerte colombianos.
    Holder hizo que la compañía frutera se declarara culpable de un cargo de “entrar en transacciones con una organización explícitamente identificada como organización terrorista global.” Pero el abogado, que cobraba un considerable salario en Covington del orden de más de 2 millones de dólares, medió en un dulce acuerdo según el cual Chiquita sólo pagó una multa de 25 millones de dólares durante cinco años. Escandalosamente, sin embargo, ni uno de los seis funcionarios de la compañía que aprobaron los pagos recibió una condena a la cárcel.
    El curioso caso de Covington
    Si se mira un poco más detenidamente se descubrirá que Covington no sólo representa a Chiquita sino que sirve como una especie de nexo para la derecha política que quiere propugnar una política exterior agresiva en Latinoamérica. Covington mantuvo una importante alianza estratégica con Kissinger (famoso por Chile en 1973) y McLarty Associates (sí, el mismo Mack McLarty de los días de Clinton), una firma muy conocida internacionalmente de consultoría y asesoría estratégica.
    John Bolton sirvió de 1974 a 1981 como socio en Covington. Como embajador de EE.UU. en Naciones Unidas bajo George Bush, Bolton fue un crítico feroz de izquierdistas en Latinoamérica como Hugo Chávez. Además, John Negroponte se convirtió hace poco en vicepresidente de Covington. Negroponte es un ex secretario adjunto de Estado, director de Inteligencia Nacional y representante de EE.UU. ante Naciones Unidas.
    Como embajador de EE.UU. en Honduras desde 1981 hasta 1985, Negroponte jugó un papel importante en la ayuda a los rebeldes de la Contra respaldados por EE.UU. que se proponían derrocar el régimen sandinista en Nicaragua. Grupos de derechos humanos han criticado a Negroponte por hacer caso omiso de los abusos contra los derechos humanos cometidos por los escuadrones de la muerte hondureños que fueron financiados y parcialmente entrenados por la CIA. Por cierto, cuando Negroponte sirvió como embajador, su edificio en Tegucigalpa se convirtió en unos de los mayores centros neurálgicos de la CIA en Latinoamérica y decuplicó su personal.
    Aunque no hay evidencia que vincule Chiquita al reciente golpe en Honduras, existe suficiente confluencia de personajes sospechosos y de políticos influyentes como para justificar más investigación. Desde COHEP a Covington hasta Holder y Negroponte y McLarty, Chiquita ha seleccionado a amigos en puestos importantes, amigos que no aprecian las políticas laborales progresistas del gobierno de Zelaya en Tegucigalpa.
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    Nikolas Kozloff es autor de “Revolution! South America and the Rise of the New Left” (Palgrave-Macmillan, 2008). Su blog es: senorchichero.blogspot.com

    sábado, 22 de agosto de 2009

    From Arbenz to Zelaya Chiquita in Latin America

    From Arbenz to Zelaya
    Chiquita in Latin America

    By NIKOLAS KOZLOFF

    When the Honduran military overthrew the democratically elected government of Manuel Zelaya two weeks ago there might have been a sigh of relief in the corporate board rooms of Chiquita banana. Earlier this year the Cincinnati-based fruit company joined Dole in criticizing the government in Tegucigalpa which had raised the minimum wage by 60%. Chiquita complained that the new regulations would cut into company profits, requiring the firm to spend more on costs than in Costa Rica: 20 cents more to produce a crate of pineapple and ten cents more to produce a crate of bananas to be exact. In all, Chiquita fretted that it would lose millions under Zelaya’s labor reforms since the company produced around 8 million crates of pineapple and 22 million crates of bananas per year.
    When the minimum wage decree came down Chiquita sought help and appealed to the Honduran National Business Council, known by its Spanish acronym COHEP. Like Chiquita, COHEP was unhappy about Zelaya’s minimum wage measure. Amílcar Bulnes, the group’s president, argued that if the government went forward with the minimum wage increase employers would be forced to let workers go, thus increasing unemployment in the country. The most important business organization in Honduras, COHEP groups 60 trade associations and chambers of commerce representing every sector of the Honduran economy. According to its own Web site, COHEP is the political and technical arm of the Honduran private sector, supports trade agreements and provides “critical support for the democratic system.”
    The international community should not impose economic sanctions against the coup regime in Tegucigalpa, COHEP argues, because this would worsen Honduras’ social problems. In its new role as the mouthpiece for Honduras’ poor, COHEP declares that Honduras has already suffered from earthquakes, torrential rains and the global financial crisis. Before punishing the coup regime with punitive measures, COHEP argues, the United Nations and the Organization of American States should send observer teams to Honduras to investigate how sanctions might affect 70% of Hondurans who live in poverty. Bulnes meanwhile has voiced his support for the coup regime of Roberto Micheletti and argues that the political conditions in Honduras are not propitious for Zelaya’s return from exile.
    Chiquita: From Arbenz to Bananagate
    It’s not surprising that Chiquita would seek out and ally itself to socially and politically backward forces in Honduras. Colsiba, the coordinating body of banana plantation workers in Latin America, says the fruit company has failed to supply its workers with necessary protective gear and has dragged its feet when it comes to signing collective labor agreements in Nicaragua, Guatemala and Honduras.
    Colsiba compares the infernal labor conditions on Chiquita plantations to concentration camps. It’s an inflammatory comparison yet may contain a degree of truth. Women working on Chiquita’s plantations in Central America work from 6:30 a.m. until 7 at night, their hands burning up inside rubber gloves. Some workers are as young as 14. Central American banana workers have sought damages against Chiquita for exposing them in the field to DBCP, a dangerous pesticide which causes sterility, cancer and birth defects in children.
    Chiquita, formerly known as United Fruit Company and United Brands, has had a long and sordid political history in Central America. Led by Sam “The Banana Man” Zemurray, United Fruit got into the banana business at the turn of the twentieth century. Zemurray once remarked famously, “In Honduras, a mule costs more than a member of parliament.” By the 1920s United Fruit controlled 650,000 acres of the best land in Honduras, almost one quarter of all the arable land in the country. What’s more, the company controlled important roads and railways.
    In Honduras the fruit companies spread their influence into every area of life including politics and the military. For such tactics they acquired the name los pulpos (the octopuses, from the way they spread their tentacles). Those who did not play ball with the corporations were frequently found face down on the plantations. In 1904 humorist O. Henry coined the term “Banana Republic” to refer to the notorious United Fruit Company and its actions in Honduras.
    In Guatemala, United Fruit supported the CIA-backed 1954 military coup against President Jacobo Arbenz, a reformer who had carried out a land reform package. Arbenz’ overthrow led to more than thirty years of unrest and civil war in Guatemala. Later in 1961, United Fruit lent its ships to CIA-backed Cuban exiles who sought to overthrow Fidel Castro at the Bay of Pigs.
    In 1972, United Fruit (now renamed United Brands) propelled Honduran General Oswaldo López Arellano to power. The dictator was forced to step down later however after the infamous “Bananagate” scandal which involved United Brands bribes to Arellano. A federal grand jury accused United Brands of bribing Arellano with $1.25 million, with the carrot of another $1.25 million later if the military man agreed to reduce fruit export taxes. During Bananagate, United Brands’ President fell from a New York City skyscraper in an apparent suicide.
    Go-Go Clinton Years and Colombia
    In Colombia United Fruit also set up shop and during its operations in the South American country developed a no less checkered profile. In 1928, 3,000 workers went on strike against the company to demand better pay and working conditions. At first the company refused to negotiate but later gave in on some minor points, declaring the other demands “illegal” or “impossible.” When the strikers refused to disperse the military fired on the banana workers, killing scores.
    You might think that Chiquita would have reconsidered its labor policies after that but in the late 1990s the company began to ally itself with insidious forces, specifically right wing paramilitaries. Chiquita paid off the men to the tune of more than a million dollars. In its own defense, the company declared that it was merely paying protection money to the paramilitaries.
    In 2007, Chiquita paid $25 million to settle a Justice Department investigation into the payments. Chiquita was the first company in U.S. history to be convicted of financial dealings with a designated terrorist organization.
    In a lawsuit launched against Chiquita victims of the paramilitary violence claimed the firm abetted atrocities including terrorism, war crimes and crimes against humanity. A lawyer for the plaintiffs said that Chiquita’s relationship with the paramilitaries “was about acquiring every aspect of banana distribution and sale through a reign of terror.”
    Back in Washington, D.C. Charles Lindner, Chiquita’s CEO, was busy courting the White House. Lindner had been a big donor to the GOP but switched sides and began to lavish cash on the Democrats and Bill Clinton. Clinton repaid Linder by becoming a key military backer of the government of Andrés Pastrana which presided over the proliferation of right wing death squads. At the time the U.S. was pursuing its corporately-friendly free trade agenda in Latin America, a strategy carried out by Clinton’s old boyhood friend Thomas “Mack” McLarty. At the White House, McLarty served as Chief of Staff and Special Envoy to Latin America. He’s an intriguing figure who I’ll come back to in a moment.
    The Holder-Chiquita Connection
    Given Chiquita’s underhanded record in Central America and Colombia it’s not a surprise that the company later sought to ally itself with COHEP in Honduras. In addition to lobbying business associations in Honduras however Chiquita also cultivated relationships with high powered law firms in Washington. According to the Center for Responsive Politics, Chiquita has paid out $70,000 in lobbying fees to Covington and Burling over the past three years.
    Covington is a powerful law firm which advises multinational corporations. Eric Holder, the current Attorney General, a co-chair of the Obama campaign and former Deputy Attorney General under Bill Clinton was up until recently a partner at the firm. At Covington, Holder defended Chiquita as lead counsel in its case with the Justice Department. From his perch at the elegant new Covington headquarters located near the New York Times building in Manhattan, Holder prepped Fernando Aguirre, Chiquita’s CEO, for an interview with 60 Minutes dealing with Colombian death squads.
    Holder had the fruit company plead guilty to one count of “engaging in transactions with a specially designated global terrorist organization.” But the lawyer, who was taking in a hefty salary at Covington to the tune of more than $2 million, brokered a sweetheart deal in which Chiquita only paid a $25 million fine over five years. Outrageously however, not one of the six company officials who approved the payments received any jail time.
    The Curious Case of Covington
    Look a little deeper and you’ll find that not only does Covington represent Chiquita but also serves as a kind of nexus for the political right intent on pushing a hawkish foreign policy in Latin America. Covington has pursued an important strategic alliance with Kissinger (of Chile, 1973 fame) and McLarty Associates (yes, the same Mack McLarty from Clinton-time), a well known international consulting and strategic advisory firm.
    From 1974 to 1981 John Bolton served as an associate at Covington. As U.S. Ambassador to the United Nations under George Bush, Bolton was a fierce critic of leftists in Latin America such as Venezuela’s Hugo Chávez. Furthermore, just recently John Negroponte became Covington’s Vice Chairman. Negroponte is a former Deputy Secretary of State, Director of National Intelligence and U.S. Representative to the United Nations.
    As U.S. Ambassador to Honduras from 1981-1985, Negroponte played a significant role in assisting the U.S.-backed Contra rebels intent on overthrowing the Sandinista regime in Nicaragua. Human rights groups have criticized Negroponte for ignoring human rights abuses committed by Honduran death squads which were funded and partially trained by the Central Intelligence Agency. Indeed, when Negroponte served as ambassador his building in Tegucigalpa became one of the largest nerve centers of the CIA in Latin America with a tenfold increase in personnel.
    While there’s no evidence linking Chiquita to the recent coup in Honduras, there’s enough of a confluence of suspicious characters and political heavyweights here to warrant further investigation. From COHEP to Covington to Holder to Negroponte to McLarty, Chiquita has sought out friends in high places, friends who had no love for the progressive labor policies of the Zelaya regime in Tegucigalpa.
    Nikolas Kozloff is the author of Revolution! South America and the Rise of the New Left (Palgrave-Macmillan, 2008) Follow his blog at senorchichero.blogspot.com
    http://www.counterpunch.org/kozloff07172009.html

    viernes, 21 de agosto de 2009

    John Perkins: Honduras Coup Orchestrated by two US Corporations?

    By John Perkins

    August 07, 2009 "Information Clearing House" -- I recently visited Central America. Everyone I talked with there was convinced that the military coup that had overthrown the democratically-elected president of Honduras, Manuel Zelaya, had been engineered by two US companies, with CIA support. And that the US and its new president were not standing up for democracy.
    Earlier in the year Chiquita Brands International Inc. (formerly United Fruit) and Dole Food Co had severely criticized Zelaya for advocating an increase of 60% in Honduras’s minimum wage, claiming that the policy would cut into corporate profits. They were joined by a coalition of textile manufacturers and exporters, companies that rely on cheap labor to work in their sweatshops.
    Memories are short in the US, but not in Central America. I kept hearing people who claimed that it was a matter of record that Chiquita (United Fruit) and the CIA had toppled Guatemala’s democratically-elected president Jacobo Arbenz in 1954 and that International Telephone & Telegraph (ITT), Henry Kissinger, and the CIA had brought down Chile’s Salvador Allende in 1973. These people were certain that Haiti’s president Jean-Bertrand Aristide had been ousted by the CIA in 2004 because he proposed a minimum wage increase, like Zelaya’s.
    I was told by a Panamanian bank vice president, “Every multinational knows that if Honduras raises its hourly rate, the rest of Latin America and the Caribbean will have t o follow. Haiti and Honduras have always set the bottom line for minimum wages. The big companies are determined to stop what they call a ‘leftist revolt’ in this hemisphere. In throwing out Zelaya they are sending frightening messages to all the other presidents who are trying to raise the living standards of their people.”
    It did not take much imagination to envision the turmoil sweeping through every Latin American capital. There had been a collective sign of relief at Barack Obama’s election in the U.S., a sense of hope that the empire in the North would finally exhibit compassion toward its southern neighbors, that the unfair trade agreements, privatizations, draconian IMF Structural Adjustment Programs, and threats of military intervention would slow down and perhaps even fade away. Now, that optimism was turning sour.
    The cozy relationship between Honduras’s military coup leaders and the corporatocracy were confirmed a couple of days after my arrival in Panama. England’s The Guardian ran an article announcing that “two of the Honduran coup government's top advisers have close ties to the US secretary of state. One is Lanny Davis, an influential lobbyist who was a personal lawyer for President Bill Clinton and also campaigned for Hillary. . . The other hired gun for the coup government that has deep Clinton ties is (lobbyist) Bennett Ratcliff.” (1)
    DemocracyNow! broke the news that Chiquita was represented by a powerful Washington law firm, Covi ngton & Burling LLP, and its consultant, McLarty Associates (2). President Obama’s Attorney General Eric Holder had been a Covington partner and a defender of Chiquita when the company was accused of hiring “assassination squads” in Colombia (Chiquita was found guilty, admitting that it had paid organizations listed by the US government as terrorist groups “for protection” and agreeing in 2004 to a $25 million fine). (3) George W. Bush’s UN Ambassador, John Bolton, a former Covington lawyer, had fiercely opposed Latin American leaders who fought for their peoples’ rights to larger shares of the profits derived from their resources; after leaving the government in 2006, Bolton became involved with the Project for the New American Century, the Council for National Policy, and a number of other programs that promote corporate hegemony in Honduras and elsewhere.
    McLarty Vice Chairman John Negroponte was U.S. Ambassador to Honduras from 1981-1985, former Deputy Secretary of State, Director of National Int elligence, and U.S. Representative to the United Nations; he played a major role in the U.S.-backed Contra’s secret war against Nicaragua’s Sandinista government and has consistently opposed the policies of the democratically-elected pro-reform Latin American presidents. (4) These three men symbolize the insidious power of the corporatocracy, its bipartisan composition, and the fact that the Obama Administration has been sucked in.
    The Los Angeles Times went to the heart of this matter when it concluded:
    What happened in Honduras is a classic Latin American coup in another sense: Gen. Romeo Vasquez, who led it, is an alumnus of the United States' School of the Americas (renamed the Western Hemisphere Institute for Security Cooperation). The school is best known for producing Latin American officers who have committed major human rights abuses, including military coups. (5)
    All of this leads us once again to the inevitable conclusion: you and I must change the system. The president – whether Democrat or Republican – needs us to speak out.
    Chiquita, Dole and all your representatives need to hear from you. Zelaya must be reinstated.
    FOOTNOTES
    (1)
    “Who's in charge of US foreign policy? The coup in Honduras has exposed divisions between Barack Obama and his secretary of state, Hillary Clinton” by Mark Weisbrot http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2009/jul/16/honduras- coup-obama-clinton (July 23, 2009)
    (2) http://www.democracynow.org/2009/7/21/from_arbenz_to_zelaya_chiquita_in (July 23, 2009)
    (3) “Chiquita admits to paying Colombia terrorists: Banana company agrees to $25 million fine for paying AUC for protection” MSNBC March 15, 2007 http://www.msnbc.msn.com/id/17615143/ (July 24, 2009)
    (4) Fore more information: http://aconstantineblacklist.blogspot.com/2009/07/eric-holder-and-chaquita- covington.html (Jul y 23, 2009)
    (5) “The high-powered hidden support for Honduras' coup: The country's rightful president was ousted b y a military leadership that takes many of its cues from Washington insiders.” by Mark Weisbrot, Los Angeles Times, July 23, 2009
    Monday, August 24 2009 @ 09:17 AM
    John Perkins is the author of Confessions of an Economic Hit Man
    Hondurus Coup, the CIA and two American Corporations

    jueves, 20 de agosto de 2009

    un poco de historia

    [...] Por su parte Alfredo Holguín planteó una campaña en conmemoración de los 80 años de la masacre de las bananeras, la cual se realizará entre los meses de mayo y diciembre del año en curso. La masacre de las bananeras es un episodio ocurrido en la población colombiana de Ciénaga, Departamento del Magdalena, en 1928 cuando las fuerzas armadas de Colombia abrieron fuego contra una movilización de trabajadores en huelga contra la empresa gringa Unite Fruit Company (Hoy Chiquita Brands), comprometida en financiación de paramilitares en Urabá). La masacre sucedida el 6 de diciembre de 1928 dejó más de tres mil muertos, bautizando con sangre el naciente movimiento obrero colombiano. Es de destacar que estos luctuosos hechos sirvieron de argumento al premio Nóbel de literatura Gabriel García Márquez para su novela “Cien años de soledad”.
    de http://www.aporrea.org/internacionales/n112613.html

    miércoles, 19 de agosto de 2009

    Chiquita Brands pagará 25 millones de multa por financiar a los ‘paras’

    Del País:

    Un juez de EE UU autoriza la sanción, la mayor bajo la ley antiterrorista
    EFE - Washington - 18/09/2007

    El juez de distrito de Washington DC Royce Lamberth autorizó ayer el acuerdo por el que la multinacional bananera Chiquita Brands International se comprometió a pagar una multa de 25 millones de dólares por los pagos hechos al grupo paramilitar colombiano Autodefensas Unidas de Colombia (AUC). Ésta es la mayor sanción que se ha impuesto hasta el momento bajo la legislación antiterrorista de Estados Unidos.
    El pasado marzo, Chiquita se declaró culpable de haber hecho más de 100 pagos a ese grupo paramilitar colombiano por un importe total de 1,7 millones de dólares.
    La propia fiscalía se mostró la semana pasada favorable a que la empresa pagara los 25 millones de dólares, cantidad de la que ya ha abonado cinco millones, incluso antes de que el juez diera a conocer la sentencia.
    La sentencia del juez Lamberth impone además a la empresa un periodo de prueba de cinco años, durante el cual deberá hacer pagos anuales de cinco millones, hasta completar la sanción.
    Pago de extorsiones
    Como parte del acuerdo, el Departamento de Justicia de EE UU también ha decidido no presentar cargos contra ex directivos implicados en los pagos efectuados a las AUC entre 1997 y 2004.
    En declaraciones a la prensa, el asesor y ejecutivo de la multinacional James Thompson señaló que la sentencia es la “decisión correcta” y “responde a los esfuerzos de buena fe que ha hecho la compañía para manejar esta situación tan complicada”.
    Thompson insistió en que la empresa fue “obligada a pagar extorsiones” por parte de las AUC y que lo hizo con el “único objetivo de proteger las vidas de sus empleados y de sus familias”.
    A juicio del directivo de Chiquita, el juez ha valorado el hecho de que la empresa confesara voluntariamente los hechos y colaborara durante toda la investigación.
    También el fiscal Jonathan Malis resaltó la disposición a colaborar de la compañía. Al mismo tiempo, subrayó que Chiquita hizo pagos millonarios para “financiar armas con las que las AUC mataron a civiles inocentes”, y continuó con las transferencias aun después de confesar este delito a las autoridades en 2003.
    Asesinato de civiles inocentes
    Este hecho también lo destacó el juez Lamberth cuando pronunció la sentencia, al recordar que la conducta de Chiquita era ilegal y permitió a las AUC asesinar a civiles inocentes.
    Dejó entrever, además, su preocupación por el hecho de que las recomendaciones de la fiscalía no recogieran la responsabilidad individual de los directivos en estas muertes.
    El abogado defensor de Chiquita, Eric Holder, subrayó, por su parte, que Chiquita fue amenazada y alegó que los pagos realizados antes del 10 de septiembre de 2001 —fecha en la que el Gobierno de EE UU declaró a las AUC un grupo terrorista— no fueron ilegales.
    Holder también apoyó su defensa en la “negativa” del Gobierno de dar una respuesta a Chiquita cuando sus directivos se dirigieron a las autoridades para conocer la postura del Departamento de Justicia sobre los pagos a las AUC.
    Con esta sentencia, Chiquita podrá pasar página a un escándalo de alcance internacional, que comenzó con los pagos a las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) y al Ejército de Liberación Nacional (ELN), y que después se extendió a las AUC.
    La filial de Chiquita en Colombia, Banadex, comenzó los pagos en en 1997, si bien fue en septiembre de 2000 cuando los ejecutivos de la multinacional se enteraron de su existencia a través de una auditoría interna.
    El 10 de septiembre de 2001, el Departamento de Estado de EE UU declaró a las AUC un grupo terrorista, pero, debido a los atentados del día siguiente, la noticia pasó desapercibida y Chiquita sólo se enteró cuando un abogado se topó con ella en Internet en febrero de 2003, según la propia compañía.
    Los más de 31.000 paramilitares de las AUC se desmovilizaron en el año 2006, tras las negociaciones de paz con el Gobierno de Álvaro Uribe que empezaron en 2003.

    http://www.elpais.com/articulo/internacional/Chiquita/Brands/pagara/25/millones/multa/financiar/paras/elpepuint/20070918elpepuint_1/Tes

    lunes, 17 de agosto de 2009

    Pablo Neruda sobre la United Fruit Co.


    La  United Fruit Co.

    Cuando sonó la trompeta, estuvo
    todo preparado en la tierra,
    y Jehová repartió el mundo
    a coca-cola Inc. Anaconda,
    Ford motor, y otras entidades:
    La compañía frutera Inc.
    se reservo lo mas jugoso.
    La costa central de mi tierra,
    la dulce cintura de América.
    Bautizo de nuevo sus tierras,
    como "República Bananera"
    y sobre los muertos dormidos,
    sobre los héroes inquietos
    que conquistaron la grandeza,
    la libertad y las banderas,
    estableció la opera bufa;
    enajeno los albedríos
    regalo coronas de cesar,
    desenvaino la envidia, atrajo
    la dictadura de las moscas,
    moscas trujillo, moscas tachos,
    moscas carias, moscas martinez--abortos de gorilettis
    moscas ubico, moscas húmedas
    la sangre humilde y mermelada,
    moscas de circo, sabias moscas
    entendidas en tiranía.
    Entre las moscas sanguinarias
    la frutera desembarca,
    arrancando el café y las frutas,
    en sus barcos que deslizaron
    como bandejas de tesoro
    de nuestras tierras sumergidas.
    Mientras tanto, por los abismos
    azucarados de los puertos,
    caían indios sepultados
    en el vapor de la mañana.
    un cuerpo rueda, una cosa
    sin nombre, un numeroso caído,
    un racimo de fruto muerta
    derramada en el pudridero.
         
                                    PABLO NERUDA

    domingo, 16 de agosto de 2009

    Prontuario de Chiquita

    [...] La Coordinadora Latinoamericana de Sindicatos Bananeros (Colsiba) ha denunciado las infernales condiciones de trabajo que imperan en los dominios de Chiquita: jornadas de más de 12 horas, mujeres y niños de 14 años expuestos, como los hombres, a los efectos del DBCP, un plaguicida de uso prohibido que causa esterilidad, cáncer, congestión pulmonar y deformaciones congénitas en los hijos. Esta es la Honduras que los golpistas y Chiquita quieren conservar. También Hillary Clinton, por qué no: Micheletti acaba de elogiarla por sus “sabias políticas”.

    “En Honduras, una mula cuesta más que un miembro del Parlamento”, dijo alguna vez el despectivo director de la United Fruit, Sam “The Banana Man” Zemurray, cuando la empresa comenzó sus operaciones a comienzos del siglo pasado. En los años ’20 controlaba casi una cuarta parte de la tierra cultivable de Honduras y además se dedicaba a derrocar gobiernos elegidos en las urnas, como el de Arbenz en Guatemala en 1954. A fines de los ’90, Chiquita se inspiró en su ejemplo y pagó 1,7 millón de dólares a grupos paramilitares para controlar el cultivo y la distribución del banano en Colombia: decenas de trabajadores aparecían muertos en las plantaciones, la empresa fue demandada por familiares de los asesinados y compró su impunidad con una multa de 25 millones de dólares impuesta por un juez estadounidense. Chiquita financió a terroristas colombianos, pero nunca ingresó a la lista negra del Departamento de Estado. Es que no todos los terrorismos son iguales.

    del Analisis de Juan Gelman, poeta y analista argentino

    sábado, 15 de agosto de 2009

    El gobierno de facto frena el proceso de integración latinoamericana

    Entrevista de Vicent Boix (autor del libro El parque de las amacas) al periodista italiano Giorgio Trucchi

    Ha pasado más de 50 días en las calles de Honduras, desde que el 28 de junio, el ejército y los sectores más poderosos derrocaran al presidente legítimo Manuel Zelaya. Ha recorrido los barrios de diferentes ciudades del país, así como la zona fronteriza entre Nicaragua y Honduras. Ha estado en manifestaciones, conferencias de prensa, reuniones, actos de toda índole, cargas policiales, etc. Ha redactado más de 75 artículos, crónicas y entrevistas. Ha inmortalizado en cerca de 500 fotografías y más de 20 vídeos, los momentos más intensos, emocionantes y dramáticos que tienen lugar en la nación centroamericana.

    Giorgio Trucchi es periodista italiano afincado en Nicaragua. En los últimos tres meses ha cubierto los eventos que suceden en Honduras para la Regional Latinoamericana de la Unión Internacional de Trabajadores de la Alimentación (Rel-UITA). También administra el blog Nicaragua y más en Español. Él hizo un pequeño hueco en su agenda y pude hablarle por teléfono, para que nos explicara de primera mano las últimas noticias que tienen lugar en Honduras.

    El primer interrogante Giorgio es obligado ¿Estás percibiendo y observando en Honduras una fuerte, organizada y mayoritaria movilización social en defensa del presidente legítimo Manuel Zelaya?

    Definitivamente sí. La noche en que se supo que Zelaya había ingresado en el país y se había refugiado en la embajada de Brasil, comenzó una movilización masiva, no sólo a nivel de la capital sino en todo el país. Cuando me enteré de la noticia viajé de nuevo a Honduras y lo hice con otros periodistas de agencias internacionales. A escasos km. de la capital pudimos ver grandes caravanas de coches y autobuses que se dirigían a Tegucigalpa para dar apoyo al presidente Zelaya, que por cierto fueron detenidas por retenes militares que no les daban paso. Nosotros también estuvimos cerca de una hora retenidos por los militares y en todo el país se han instalado controles para impedir que la gente llegue a la capital.

    Como digo, el respaldo es fuerte aunque es difícil cuantificar qué porcentaje de población apoya a Manuel Zelaya. Lo que sí es cierto es que existen movilizaciones en los barrios, en las aldeas y las comunidades, no sólo de la capital, sino de diferentes departamentos de la nación.

    Te pregunto esto porque al leer tus opiniones y artículos que realizas desde los barrios de Honduras y al leer en los grandes medios algunas crónicas de periodistas que no sé muy bien dónde están ubicados, percibo dos opiniones contrapuestas respecto a la respuesta del pueblo hondureño. El jueves 24 de septiembre, un diario español reproducía una foto de las protestas -algo tendenciosa desde mi punto de vista- en la que se observaba solamente a un manifestante sentado en una piedra. En el mismo artículo se calificaba al movimiento de resistencia popular como de “débil” ¿Estás de acuerdo con esta afirmación?

    No, para nada. Yo no sé si para escribir dicha nota se han tomado datos de una agencia o si ese medio tenía corresponsales aquí en Honduras. Además hay que diferenciar. Hay marchas casi todos los días en Tegucigalpa y otras ciudades que son masivas, con miles y miles de personas. Mientras que las manifestaciones en los barrios, aldeas o comunidades no necesitan de mucha gente porque el objetivo no es ese.

    Lo que hay que subrayar es que todo ello responde a una estrategia del Frente Nacional Contra el Golpe de Estado (FNCGE), que está organizando diferentes actividades en los barrios para dispersar la protesta y crear cientos de pequeños focos de resistencia. En un barrio pueden haber 600 personas movilizadas y en una plaza 100 o 200. El número variará y analizando individualmente cada grupo, hablaremos de poca gente o de que el movimiento de resistencia es débil. Pero lo realmente importante es que en estos momentos pueden haber entre 100 o 150 focos activos dispersados solamente en la capital.

    El objetivo del FNCGE no es solamente organizar grandes eventos para paralizar el país, sino el mantener una presencia constante de gente en las calles y en los barrios para demostrar que el golpe de estado del 28 de junio no puede quedar así y que hay una parte mayoritaria de la población que no renuncia al restablecimiento de Zelaya, al retorno a la democracia y al inicio de un proceso que lleve a una asamblea constituyente y a la reforma de la constitución.

    ¿Qué sectores de la población y organizaciones sociales se han sumado activamente a las marchas y acciones por el regreso de la normalidad democrática?

    Hay de todo, pero el hecho más interesante es que el FNCGE logró juntar y sentar en una misma mesa a sectores dispersos que antes trabajaban muy poco entre ellos. Esto es un aspecto positivo del golpe de estado. Hay centrales sindicales que estaban muy divididas y que ahora empiezan a moverse juntas.

    Dentro del FNCGE, aparte de los sindicatos, también hay ONG’s, colectivos de maestros, gente de los barrios, estudiantes, organizaciones campesinas, indígenas, afrocaribeñas, colectivos de mujeres, de artistas y también partidos políticos que antes estaban confrontados.

    Con el golpe de estado, el Partido Liberal del presidente Zelaya se fragmentó entre los partidarios de éste y los que apoyan al gobierno de facto. Pues bien, esa fracción leal al presidente también forma parte de la resistencia.

    Este es sin duda alguna uno de los hechos más interesantes acaecidos en los últimos meses: que un hecho tan contundente y fuerte como un golpe de estado, ha precipitado la unión y el trabajo conjunto de diversos actores sociales.

    Desde que inicia el golpe el 28 de junio ¿En qué momento has visto más intensidad y más protestas de la sociedad?

    Han habido varios momentos especialmente activos. Los primeros días, el 28 y 29 de junio, fueron jornadas especialmente intensas porque se instauraba el gobierno golpista, el presidente era expulsado del país y comenzaba la represión. Otro momento especial fue el 5 de julio cuando Zelaya hizo el primer intento de regresar. Hubo movilizaciones que fueron contestadas con violencia, lo que propició la muerte del primer manifestante, el joven Isis Obed Murillo, quien lamentablemente fue el primero de muchos que perdieron la vida a lo largo de tres meses de lucha. Otro instante muy fuerte fue durante la segunda tentativa de Zelaya por ingresar en el país, por el paso fronterizo de Las Manos (Ocotal – Nicaragua).

    No obstante, el momento más intenso está siendo ahora que el presidente ya se encuentra de nuevo en la nación. Esto demuestra, independientemente de su pasado y de su historia, que Manuel Zelaya sigue siendo un agente catalizador. La resistencia siempre mantuvo que el primer paso o condición es la restitución de Zelaya como presidente legítimo de la nación. Afirman que no puede haber paz ni democracia hasta que no se restituya al presidente de la república.

    Me comentas que el jueves 24 hubo una marcha de los partidarios de Micheletti ¿Fue mucha gente a la misma?

    Las marchas de los que aquí llaman “blancos” o “perfumados” siempre han sido masivas. Después de las grandes concentraciones de las organizaciones sociales, el propio gobierno llama a la ciudadanía para que participe en otras manifestaciones para contrarrestar lo que organiza y realiza la resistencia.

    El FNCGE ha denunciado en muchas ocasiones, que estas marchas se componen de trabajadores y trabajadoras de empresas en manos de los grupos económicos que participan del golpe de estado, que obligan e incluso amenazan a sus empleados para que acudan a las marchas. Llegan a reunir a miles de personas -sobre todo a obreros y obreras de las zonas francas- y les proporcionan la famosa camisa blanca para que participen en los actos.

    Inicialmente, varios gobiernos del mundo se opusieron al gobierno ilegítimo de Roberto Micheletti. Con el paso de las semanas todo se fue enfriando ¿Crees que la comunidad internacional, con su silencio, está permitiendo que se asiente y se acomode el gobierno golpista?

    Eso es evidente y es un punto que siempre ha denunciado el FNCGE. Por una parte reconocen la importancia de la respuesta inmediata de la comunidad internacional cuando se da el golpe de estado. Hubo una resolución masiva por unanimidad de la Organización de Estados Americanos (OEA), así como pronunciamientos de la Asamblea General de la ONU. Además, muchos gobiernos europeos y el norteamericano retiraron sus cuerpos diplomáticos desplazados en Honduras.

    Pero por otra parte critican que las medidas de presión tomadas por estos países han sido muy débiles y sobre todo muy lentas. En un país como Honduras, que es el tercero más pobre de América Latina, sería muy fácil doblegar a su gobierno con simples medidas económicas. El 80% de los movimientos comerciales son con Estados Unidos. Por lo tanto creo que se podría presionar en ese sentido.

    ¿Por qué no se hace? Porque con este gobierno de facto se frena el proceso de integración centroamericana y latinoamericana y sobre todo los avances alrededor de la Alternativa Bolivariana para las Américas (ALBA). Recordemos que el ALBA integra ya en Centroamérica a Nicaragua y Honduras, Guatemala no está en el ALBA pero sí en Petrocaribe, y El Salvador, con la victoria del Frente Farabundo Martí, ya estaba estudiando la posibilidad de incorporarse a Petrocaribe. Es decir, se estaba creando un clima muy diferente en la región si se compara con décadas pasadas y Honduras era el eslabón que se pensaba más débil para romper la cadena.

    Retrasar estas medidas yo lo veo como un intento, por un lado, de presionar al gobierno de facto para regresar a la institucionalidad, pero por el otro, se pretende aprovechar la coyuntura para detener el proceso de integración del cual te hablaba.

    Pero estas medidas económicas para frenar al gobierno de facto de las que hablas ¿No acabarían perjudicando a la gente más vulnerable?

    Esta es la eterna cuestión de siempre, pero creo que si la comunidad internacional se hubiera puesto manos a la obra, el gobierno golpista de Micheletti hubiera caído muy rápidamente sin que la población se hubiera visto afectada.

    Por lo que escuché, muchos sectores de la resistencia estarían de acuerdo con el bloqueo económico con tal de que acabara este golpe de estado.

    ¿Esta visión de los acontecimientos que acabas de exponer, está ampliamente extendida dentro del FNCGE?

    Si sí, totalmente. Yo no te indico mi impresión únicamente sino las opiniones y los análisis que realiza la resistencia. La gente del FNCGE lo dice claramente, el golpe de estado se originó para detener el ALBA. De hecho, inmediatamente después, una de las primeras medidas del gobierno de Micheletti fue expulsar a los educadores cubanos que estaban desarrollando trabajos de alfabetización, y que tenían previsto en el próximo mes de enero declarar Honduras como país libre de analfabetismo. En las primeras declaraciones de los golpistas ya se culpó de todo a Hugo Chávez, al ALBA y el propio ejército manifestó que gracias a este “cambio presidencial democrático” se podrá detener el proceso de entrada del socialismo disfrazado de democracia.

    Siguiendo esta misma línea y teniendo en cuenta que desde hace años trabajas y vives en Nicaragua ¿Crees que detrás de la fuerte campaña nacional e internacional emprendida contra el gobierno de Daniel Ortega por el supuesto fraude en las elecciones municipales del año pasado, también hubo un intento por desestabilizar a uno de los países que más apuesta por la integración y por el ALBA?

    La acción desestabilizadora es constante, no solo en Honduras y Nicaragua, sino en todos los países de América Latina que están llevando adelante el proyecto del ALBA.

    Regresemos a Honduras ¿Cómo valora el FNCGE el papel tanto de Barack Obama como de la Unión Europea?

    Bien, es lo que te comentaba en una pregunta anterior. Reconocen que Estados Unidos rechazó lo que pasó en junio, aunque sin referirse a ello como golpe de estado. También apoyaron la intermediación del presidente de Costa Rica, Oscar Arias, para facilitar el diálogo entre las partes y que desembocó en el Acuerdo de San José.

    Pero por otra parte, como te decía, piden que Estados Unidos sea más contundente. Recuerdan que el gobierno norteamericano tardó más de dos meses en retirar a su embajador de Tegucigalpa y todavía no ha reconocido que aquí existió un golpe de estado

    ¿Por qué la administración Obama no reconoce los hechos tal cual sucedieron?

    Porque sus leyes determinan que si en algún país del mundo hay un golpe de estado, automáticamente Estados Unidos debe cancelar cualquier ayuda económica a dicho estado. Eso no lo quieren hacer en Honduras y sabemos que numerosas agencias norteamericanas siguen financiando algunas instituciones del gobierno de facto. El chorro de dinero no se ha parado.

    También sabemos que el día del golpe, el ejército entró con violencia disparando en la casa del presidente Zelaya, lo agarraron y luego lo condujeron a la base militar norteamericana de Palmerola para que despegara hacia Costa Rica. La resistencia nunca ha acusado al presidente Obama de estar involucrado en ello, pero sí de no haber prestado la suficiente atención a lo que estaba pasando.

    ¿Y con la Unión Europea?

    Pues pasa un poco de lo mismo. El FNCGE reconoce que la UE denunció el golpe de estado, pero las medidas que emprendieron desde Europa para sofocarlo han sido poco eficaces, poco contundentes y sobre todo muy lentas. Esto ha permitido que el gobierno de facto se haya consolidado.

    Al presidente de Costa Rica Oscar Arias, le otorgaron el premio Nóbel de la paz por su papel en los procesos de negociación durante los conflictos armados de Centroamérica en los años 80. Sin embargo, cuando fue presidente de Costa Rica durante esa década, su territorio ofreció cobijo a comandos de la contra nicaragüense y para muchos Arias fue la marioneta diplomática de Reagan. ¿Cómo valoras el papel de Oscar Arias en el proceso de intermediación?

    El presidente Arias, claro que es un instrumento en manos del Departamento de Estado de Hillary Clinton. Fue ella quién lo propuso como mediador ante la crisis. Además, si analizamos los 12 puntos del Acuerdo de San José o Plan Arias, exceptuando el primero que es la restitución del Zelaya, el resto van totalmente en contra del presidente legítimo de Honduras.

    Dicho acuerdo lo vuelve a situar en el poder pero sin poder. Por ejemplo, un punto del Acuerdo de San José establece que si Zelaya regresa a la presidencia no iniciará ningún proceso hacia una asamblea constituyente. Otro apartado es que las elecciones se adelanten a finales de octubre y que el ejército maneje todo la logística del proceso. Fíjate porque es curioso, que a un ejército que acaba de protagonizar un golpe de estado se le quiere confiar el control de unas elecciones.

    Por el contrario, este acuerdo no tiene previsto en ningún momento que se restauren los proyectos consensuados con la sociedad civil, que había emprendido el presidente y que fueron cancelados uno a uno tras el golpe de estado. Zelaya. Por ejemplo, él aprobó un incremento del 60% del salario mínimo y tras el golpe muchos empresarios dejaron de aplicarlo. También las autoridades ilegítimas plantean salirse del ALBA y de Petrocaribe. O sea, toda la situación que se había creado durante tres años, quedó en cero y ninguno de los puntos del Acuerdo de San José analiza estos aspectos.

    Si bien es cierto que en el golpe de estado de Venezuela la movilización social fue el factor más importante para que Hugo Chávez recuperara el poder, no es menos cierto que esto sucedió porque una parte del ejército apoyo dicho regreso y abandono los planes desestabilizadores. Por los comentarios de la gente con la que hablas y del FNCGE ¿Crees que un sector del ejército podría apoyar el regreso a la normalidad democrática?

    No creo, de hecho se ha percibido una fuerte unidad. Se pensaba que con Zelaya en el país, algún sector o algún alto mando del ejército podrían adoptar otro tipo de posición, pero con la represión de estos días han demostrado que por el momento siguen firmes al lado de los poderes fácticos que propiciaron el golpe de estado.

    Los elementos fundamentales para que cambie algo, por una parte es que la resistencia mantenga y profundice su presencia. El otro punto, como decía antes, es Estados Unidos porque económica y políticamente pueden condicionar y acorralar al gobierno de facto. El tercer elemento es que el ejército empezara a mostrar síntomas de división interna, ante la presión internacional y ante juicios por la violación de derechos humanos durante estos últimos meses.

    Y es que la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, ha reconocido precisamente que se han violado derechos humanos de todo tipo. El Plan Arias incorpora una amnistía para delitos políticos, pero no para delitos penales por haber infringido los derechos humanos de la población. Entonces, esto podría ser un elemento que tal vez rompa la unidad del ejército y de la policía, si la comunidad internacional presiona y fomenta procesos legales contra aquellos que se excedieron en sus funciones.

    Si no se puede contar con el ejército ni la policía sólo queda la presión del pueblo. Que tras el regreso de Zelaya a Honduras Micheletti quiera hablar con él, yo lo veo como una muestra de debilidad de éste al ver que la sociedad está saliendo a la calle. Sin embargo ¿Percibes suficiente presión para que los golpistas abandonen el poder?

    Hasta el momento no. Yo creo que los autores intelectuales y materiales del golpe de estado, no tenían previsto una respuesta de la gente como la que se está dando. Tal vez pronosticaron revueltas y protestas por un corto periodo de tiempo, para luego poder seguir adelante con su plan. Tampoco esperaron, creo, la respuesta inmediata y contundente de la comunidad internacional, en el sentido de que aislaron a Honduras, la suspendieron de la OEA y en la ONU rechazaron el golpe de estado y no reconocieron al gobierno de facto.

    Pero repito, yo creo que se necesita mucho más para que se le tambaleen las piernas al gobierno ilegítimo. Un elemento importante es la presencia de Manuel Zelaya en el país, que ha originado una explosión de júbilo y optimismo entre el pueblo. Seguramente, otro elemento es que la comunidad internacional puede presionar de la manera que comentaba antes.

    Esto puede abocar al gobierno de Micheletti a un diálogo, que para mí es un arma de doble filo, ya que puede limitar la capacidad de movimiento que tenía Zelaya antes del golpe de estado, para emprender nuevos proyectos que redunden en la sociedad hondureña.

    Si hay un diálogo para obligar al gobierno de facto a que abandone la presidencia, pero se le otorga prácticamente cualquier cosa a cambio, y el único punto de interés es que Zelaya sea rehabilitado por el plazo de un mes y medio hasta que se realicen las elecciones, yo creo que este hecho podría provocar una división entre el presidente Zelaya y la resistencia.

    Sé que tienes que abordar nuevamente las calles de Tegucigalpa a la mayor brevedad posible. Por tanto, te planteo ya la última cuestión ¿Ha escalado la represión en los últimos días?

    La represión ha sido masiva y totalmente injustificada, porque la gente estaba pacíficamente concentrada frente a la embajada de Brasil para celebrar el regreso de Zelaya. No hubo ningún disturbio ni saqueo y de repente llegó la policía disparando y lanzando gases lacrimógenos Esta brutalidad policial ha seguido durante los días posteriores al regreso de Zelaya, especialmente en los barrios donde la gente se está manifestando. La colonia donde se encuentra la embajada de Brasil ha sido tomada por el ejército y algunas casas han sido desalojadas y ocupadas por los militares.

    También se ha instaurado un toque de queda a partir de las 4 de la tarde, lo que ha provocado que el país se haya paralizado por el propio gobierno de facto. Esto ha impedido que mucha gente realizara sus actividades normales: comprar agua y comida, echar gasolina, etc.

    El toque de queda y las constantes movilizaciones han provocado que muchas personas fueran detenidas, trasladadas a comisarías e incluso concentradas dentro de un campo de béisbol habilitado para tal fin. También han existido heridos de balas. El miércoles 23 fuimos al Hospital Escuela (el más importante de Tegucigalpa) y en emergencias nos confesaron que el día antes habían ingresado más 20 personas, muchas de ellas con heridas de munición. Eso demuestra que no están disparando con balas de goma sino con balas de plomo.

    Los golpistas también han establecido un cerco mediático a nivel nacional, para controlar la información y crear la imagen ficticia de que Honduras todos los días amanece con normalidad. Prácticamente todos los medios se han subido al carro a excepción de Radio Globo, Radio Progreso, el Canal 36 y numerosas radios comunitarias situadas en todos los departamentos, que permiten que la información veraz fluya y llegue a la gente. El resto de medios de prensa, radio y televisión están controlados, no por el gobierno de facto, sino más bien por los empresarios y propietarios de dichos medios, que son parte de los poderes fácticos que, según la resistencia, orquestaron el golpe.

    Estos pocos medios independientes han sido reprimidos y obstaculizados. El día 23 de septiembre por ejemplo, el Canal 36 estuvo pasando todo el día un mensaje en el que denunciaba a la empresa de telecomunicaciones porque había sacado la señal del canal del aire. Con ello lograron que dicha televisión sólo se pudiera ver en Tegucigalpa. Esto no sucede por primera vez, sino que desde el 28 de junio ha pasado en repetidas ocasiones. Hace un mes, este canal también sufrió un atentado en la antena y durante dos semanas se suspendieron las emisiones. Hechos similares han sucedido también con Radio Globo y ahora por ejemplo no se pueda escuchar dicha emisora por internet.